Riforma del terzo settore, l’impresa sociale è nonprofit

Lunedì sarò a Roma, nella sede di partito a discutere con i colleghi e con Matteo Renzi sul disegno di legge delega sul terzo settore, che è in discussione in questo momento alla Camera. Interverrò in coerenza con il mio disegno di legge di riforma della legge sull’impresa sociale, su un punto cruciale.

L’impresa sociale, secondo tutta la letteratura italiana ed europea, si caratterizza per un vincolo alla remunerazione dei fattori produttivi e in particolare del capitale. Ipotizzare di sfondare questo limite (modello low profit), come qualcuno vorrebbe, significa sconvolgere nell’essenza il concetto di terzo settore, tra l’altro eliminando i legami tra impresa sociale e volontariato, già oggi messi in discussione dai puristi. Intendiamoci:

  • è opportuno che si consentano e si favoriscano anche forme societarie diverse dalla cooperativa sociale; bene quindi se ci saranno imprese sociali anche sotto forma di s.p.a., s.r.l., ecc. L’impresa sociale è come un hub, a cui accedono i diversi modelli societari;

  • è giusta la valutazione d’impatto, anche se non è per niente facile: meglio un controllo sociale diffuso, specie da parte dei volontari e dei donatori;

  • è possibile e utile che si possano emettere social bond: obbligazioni remunerate, anche a tassi di mercato.

Ma non si può sfondare un sistema di vincoli e limiti che, per ragioni di buona pratica e di diffusione, può essere mutuato dalla cooperazione a mutualità prevalente e che prevede:

  • una riserva indivisibile da destinare nel caso di scioglimento a pubblica utilità: è questo il vero forziere a garanzia dell’interesse pubblico!;

  • una quota degli utili e degli avanzi di gestione ad aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato, nei limiti delle variazioni dei prezzi ISTAT;

  • dividendi ai soci, su una quota non superiore al 50% degli utili: al massimo due punti e mezzo in più rispetto ai buoni fruttiferi postali, rispetto al capitale effettivamente versato.

In pratica, si mantiene il valore reale del capitale investito e lo si può remunerare per la metà fino al 2,5% oltre l’inflazione. E’ un punto di equilibrio: andare oltre significa sradicare l’impianto del terzo settore.

Insomma: l’essere impresa sociale non si riconosce dall’essere imprenditore nel campo sociale, ma dall’essere imprenditore nonprofit e con un modello di governo che vede la compresenza di lavoratori, volontari, fruitori. Poi, certo, devi anche fare cose utili alla collettività.

Stefano Lepri

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