Senato non elettivo, così non diventa dopolavoro

Oggi e domani sono giorni decisivi per definire la riforma del Senato. In particolare, domattina Renzi sarà al gruppo del Senato per provare a trovare una sintesi complessiva, su cui portare il testo in Commissione.  Su un punto c’è ancora divisione, e si fonda sull’obiezione, fondata, secondo la quale il Senato non può diventare il dopolavoro dei sindaci, dei presidenti e consiglieri regionali. C’è infatti una sproporzione, nel testo del Governo, tra i molti e condivisibili compiti che si intendono affidare al nuovo Senato e il tempo che le persone chiamate a comporlo potrebbero dedicarvi, visto che avrebbero tutti già importanti e precedenti responsabilità, per le quali sono prioritariamente eletti e retribuiti. Questa considerazione vale in particolare per i presidenti delle Regioni e i sindaci delle Città capoluogo di regione; molti di questi ultimi, non dimentichiamolo, diventeranno presto anche presidenti delle città metropolitane.

Ciò tuttavia non scalfisce l’opportunità di far comporre il nuovo Senato dagli amministratori eletti delle regioni e delle autonomie locali perché così, al di là dei risparmi, si rende diretto e immediato il raccordo tra Stato e territori. Dunque, come conciliare l’opportunità di un Senato non elettivo e dotato di ampi poteri con la necessità che esso sia attivamente partecipato e presidiato, onde evitarne l’inefficacia o la dipendenza dalla burocrazia?

Il punto di possibile sintesi non sta in proposte, avanzate in questi giorni, che prevedono l’elezione diretta, pur concomitante e parallela a quella dei consiglieri regionali.

Piuttosto, si consideri la possibilità di lasciare ai Consigli regionali, una volta eletti, di nominare loro chi vogliono nel rispetto delle minoranze e per i numeri loro attribuiti, ad eccezione del presidente della Giunta che resterebbe membro di diritto del Senato. Quei consiglieri nominati avrebbero il compito esclusivo di seguire il Senato, salvo partecipare ai consigli regionali una volta alla settimana. Così si risponde all’obiezione, poiché la gran parte dei componenti si dedicherebbe quasi a tempo pieno ai lavori del nuovo organo del Parlamento, pur essendo a tutti gli effetti consiglieri regionali e pagati dagli stessi Consigli.

Ne deriva, tuttavia, che il Senato sarebbe fatto per la maggioranza da consiglieri regionali, salvo i ventun presidenti delle regioni e i ventun sindaci delle città capoluogo di regione eletti di diritto. Certo, questa composizione cambia l’equilibrio della rappresentanza finora previsto, prevedendosi più un Senato federale e regionale che delle autonomie. Ma, forse, proprio questa formula, anche alla luce del colore politico di chi amministra i territori, potrebbe rendere maggiormente accettabile ai più la proposta complessiva di riforma.

Stefano Lepri

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