Se il consigliere si crede furbo

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Il PD di Torino, nonostante i suoi limiti, è ancora un partito. Infatti ha organizzato bene l’elezione della Città metropolitana, riuscendo a prendere più voti dei 5Stelle e definendo al suo interno un accordo di massima sui diversi territori, che ha evitato la conta tra le componenti.

Una cosa però non è andata bene: un consigliere comunale di Torino doveva, come da accordi “blindati” nel gruppo, votare una certa collega, ma non lo ha fatto. Si dirà: era solo un impegno di massima. E invece no, lui stesso aveva chiesto espressamente al gruppo di votare per lei, e glielo aveva riconfermato a quattr’occhi: stai tranquilla, voto te, sono anche del pinerolese. Peraltro, se non voleva votarla poteva dirlo e lo avrebbe fatto qualcun altro, poiché era stato deciso di far avere alle due consigliere donne tre voti ciascuna. Insomma, nessun equivoco: voleva fregarla, ma non gli è andata bene perché, pur venuto meno il voto “pesante” del pinocchio, lei ce l’ha fatta lo stesso. E ora serve chiarire.

Per stare in un partito bisogna essere leali: si decide la posizione a maggioranza e ci si adegua tutti. Solo sui temi “sensibili” è concessa (anche nei regolamenti parlamentari) libertà di opinione e di coscienza, pur motivata ed eccezionale. Ma se ci si può distinguere su qualche contenuto, è inaccettabile la slealtà tra colleghi, specie se condotta in frangenti così importanti come l’elezione di un organo di secondo livello.

Una comunità politica ha le sue regole, che vanno rispettate. Per questo siamo di fronte ad un fatto molto grave, che il gruppo consiliare e la segreteria provinciale devono affrontare senza rinvii. Senza conseguenti nitide determinazioni, saranno tutti autorizzati a fregarsene della linea di partito.

Stefano Lepri

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