Assistenza domiciliare, rimandata alla Camera

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Non è passato il mio emendamento, sostenuto da molti colleghi della Commissione sanità, per favorire l’assistenza domiciliare a favore delle persone malate croniche non autosufficienti. Dopo aver superato il vaglio di ammissibilità ed essere arrivato fino in fondo al complicato iter della commissione bilancio, è stato poi respinto insieme a tutti quelli della sanità, in quanto alcune materie (tra cui appunto quella del dicastero del ministro Lorenzin) necessiterebbero di maggior approfondimento, specie con le Regioni. Tutto rimandato quindi alla Camera, in cui ripresenteremo l’emendamento contando sulla condivisione e l’iniziativa di colleghi, anche piemontesi. Sarò più preciso nei prossimi giorni, ma non ci arrendiamo.

Questo è il senso della proposta. Oggi gli anziani malati cronici non autosufficienti e le persone con disabilità hanno diritto a una struttura residenziale pagata al 50% dal SSN (circa 1.500 euro mese), a cui può sommarsi l’indennità di accompagnamento (500 euro mese). Oppure hanno (avrebbero) diritto all’assistenza domiciliare ottenuta, solo per i gravissimi, grazie all’utilizzo dell’indennità di accompagnamento. In più, solo alcune regioni offrono, in modo peraltro vario e non uniforme, loro interventi di assistenza domiciliare con continuità, pur in assenza di un quadro normativo. Infatti i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) oggi assicurano una compartecipazione del SSN solo nel caso dell’ADI (assistenza domiciliare integrata), che tuttavia si svolge per pochi giorni o settimane in post acuzie. Alcune regioni virtuose hanno quindi deciso, in questi anni, di erogare prestazioni domiciliari continuative per i cronici, considerate tuttavia come extra LEA.

Per riassumere: in residenzialità un malato cronico costa allo Stato duemila euro mese; al domicilio e alle stesse condizioni di gravità ne costa cinquecento, salvo integrazione facoltativa e al limite dell’illegittimità delle Regioni (nonostante si sia legiferato, come in Piemonte, in tal senso, con la legge 10/2010). Mentre con duemila euro mese - a cui si aggiunge la quota alberghiera pagata dall’utente e, in subordine, dall’ente locale - si fa un buon servizio, con cinquecento (o con nulla, se l’accompagnamento ritarda o non viene dato) al domicilio si è curati poco e male. O non si è curati.

Ecco quindi la proposta: visto che si stanno definendo i nuovi LEA e che si sono già finanziati, prevediamo che i servizi a domicilio siano integrati da prestazioni formali e informali di aiuto personale e assistenza tutelare alla persona, erogate secondo modelli assistenziali disciplinati dalle Regioni e a carico del Servizio sanitario nazionale per una quota pari al 50%. Come già oggi avviene per chi è ospite in strutture residenziali.

Alla Camera ci riproviamo. Perché è una battaglia giusta, che fa spendere in modo più corretto e che, tra l’altro, genera nuova buona occupazione.

Stefano Lepri

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