In questi anni alle istituzioni regionali sono stati richiesti una molteplicità di interventi in occasione di crisi aziendali; si è trattato in molti casi di esercitare una funzione di mediazione o di lavorare al fine di creare condizioni più favorevoli per l’azione delle imprese così da salvaguardare per quanto possibile l’occupazione.
Sono state, queste, azioni positive e importanti, che, unite a consistenti misure anticrisi, hanno evitato che in una situazione eccezionalmente critica l’economia piemontese risultasse ancora più colpita dalla recessione.
D’altra parte si tratta di una strategia che presta il fianco ad alcune controindicazioni. Dal punto di vista della loro generalizzabilità e dunque equità, bisogna chiedersi se l’intervento delle istituzioni a favore di una specifica situazione di crisi sia un modello sempre proponibile. Dal punto di vista degli effetti di medio periodo va considerato che talvolta si sono verificati casi in cui le imprese “privatizzano i profitti e socializzano le perdite” ponendo quindi un interrogativo sull’efficacia e sulla giustificabilità di un intervento pubblico.
È oggi necessario unire a queste misure una trasformazione dell’approccio culturale. Ritengo che sia necessario adottare un indirizzo generale dei provvedimenti teso a premiare il coinvolgimento dei lavoratori nella vita dell’impresa: gli strumenti possono essere molteplici, dai contratti di solidarietà nei momenti di crisi alla partecipazione dei lavoratori ai risultati dell’azienda, alla partecipazione dei lavoratori agli organi di governance aziendali.
Questo per chiarire che il modello che propongo non è riducibile all’introduzione in via contrattuale di un legame automatico tra retribuzione e risultati aziendali che, in assenza di altre misure, rischierebbe semplicemente di esporre i lavoratori ad una fluttuazione del proprio reddito in funzione di scelte da loro non determinate. La condivisione dei destini economici si colloca invece entro un quadro di condivisione dei poteri di governance delle imprese.