Sino al 2001 i proventi corrisposti ai Comuni a fronte del permesso di realizzare opere edilizie – sia nuove costruzioni che ristrutturazioni – erano vincolati a determinati utilizzi, tutti relativi a spese di investimento. In sostanza, non si potevano utilizzare tali proventi per spese correnti: per tenere aperte una biblioteca, pagare il personale, pagare servizi di assistenza agli anziani, ecc.
A partire dal 2001 l’utilizzo di tali proventi viene liberalizzato, entro i limiti che annualmente possono essere fissati dalla legge finanziaria. Per Comuni sottoposti in misura sempre più drammatica alle ristrettezze dei trasferimenti pubblici, “vendere” pezzi del proprio territorio rappresenta una tentazione quasi irresistibile. E la scelta, in questi anni, è stata non infrequentemente proprio quella della vendita di pezzi di interesse pubblico a privati.
Se politiche come quelle recentemente varate dal Governo nazionale circa l’ampliamento delle cubature incoraggiano una distruzione del territorio senza freni, i fenomeni manifestatisi sul territorio piemontese e provinciale testimoniano come non manchino fenomeni di consumo imponente. Gli amministratori locali, pur nella consapevolezza del danno inferto all’ambiente e alle future generazioni, si trovano a gestire bilanci sempre più faticosi e a poter utilizzare i proventi della distruzione del territorio come strumento indispensabile per assicurare i servizi.
Si tratta di ripensare un modello di sviluppo che non implichi la distruzione del territorio e che anzi si basi sulla valorizzazione delle risorse che esso può offrire.